Le Cantigas de Santa María - canzoni dedicate alla Vergine Maria nella seconda metà del XIII secolo1 - sono il risultato della confluenza alla corte del suo patrocinatore Alfonso X di Castiglia (nonché probabile autore, per alcune di esse), di varie tradizioni miracolistiche, di natura e provenienza diversa.
Semplificando, se per alcuni testi - soprattutto quelli che formano la prima parte della collezione mariana - il modello dei miracoli pare derivare dalle grandi e note collezioni di prodigi della Vergine già ampiamente conosciuti in tutto lo spazio europeo, per altri - molto più complessi da analizzare - si ipotizza invece l’apporto di tradizioni più legate alla cultura popolare, locale (miracoli connessi a qualche santuario), o anche provenienti dalle Vitae di altri santi della cultura occidentale, opportunamente riadattate al nuovo contesto mariano2.
Quali siano stati comunque i modelli di riferimento per Alfonso X e il suo entourage di collaboratori, essi non si mostrano mai univoci nella formazione di ogni CSM: per questo è sempre preferibile parlare non tanto di una sola fonte, ma di più varianti o tradizioni rispetto ad un medesimo miracolo (o parti di esso) che il laboratorio mariano del Re Sapiente ha saputo rimaneggiare all’insegna di una ricercata originalità.
Questo fatto determina dunque la difficoltà nel tentare di rintracciare la fonte (o, più propriamente, le fonti) delle CSM che formano l’intero corpus mariano; e, tra i testi ‘difficili’ da analizzare in questo senso, in virtù delle dinamiche non lineari nel processo di trasmissione di una tradizione, si trovano anche quelli oggetto di questo breve studio.
Si tratta di quelle CSM che trasmettono dei miracoli dove i sacri azzimi si trasformano in carne e sangue per ribadire la presenza reale di Cristo in quelle sostanze e, eventualmente, impedire che le ostie vengano utilizzate in rituali profani. In altri prodigi, quest’ultime si trasfigurano in una immagine della Vergine o di Gesù, sempre in risposta ad un atto di profanazione o ad una funzione religiosa celebrata con scetticismo nei confronti del sacramento dell’Eucaristia3.
In alcuni casi, questi prodigi possono anche coesistere nello stesso miracolo, ma sempre con le medesime finalità: confermare il dogma della transustanziazione ed impedire un utilizzo di quel sacramento in rituali che si potrebbero definire ‘magici’. In totale, son ben quattro i componimenti che possono essere ricondotti a queste tematiche: CSM 104, 128, 149 e 2084.
Come già accennato, l’obiettivo di questo studio è quello di presentare delle nuove ipotesi sui precedenti narrativi di due delle CSM appartenenti a questo gruppo, le CSM 128 e 208. La scelta di restringere il campo obbedisce a due criteri: il primo, ovviamente, è quello dello spazio offerto da questa pubblicazione; il secondo invece ha a che vedere con la natura degli stessi miracoli: si tratta infatti di testi che condividono una situazione apparentemente simile dove un’ostia consacrata, dopo essere stata inserita all’interno di un alveare, inizia ad essere adorata da alcune api, divenendo infine oggetto di una vistosa trasfigurazione5.
La CSM 128
Nella CSM 128 si racconta la storia di un apicoltore delle Fiandre che, per incrementare la produzione di miele e cera, ha bisogno di più api. Vuole però sforzarsi il minimo possibile. A tal proposito, un’anziana fattucchiera del posto gli consiglia di ricevere l’ostia durante la messa per poi conservarla tra la lingua e il palato e riporla, una volta fatto ritorno a casa, in una delle sue arnie. Arriva il giorno di raccolta del miele, ed ecco che, riaperta l’arnia, si trova davanti ad un fatto straordinario: i sacri azzimi hanno preso le sembianze della Vergine Maria con, in braccio, il piccolo Gesù (vv32-36)6:
“E abriu aquela logo, u a osti’ ensserrara,
e viu [y] Santa Maria, mui fremosa e mui crara,
con seu Fillo Jhesu-Cristo en seus braços, que criara,
que tĩia abraçado e el ela abraçada.
Tan muit’ é con Jesu-Cristo Santa Maria juntada …”.
Turbato da questa rivelazione, il peccatore corre ad informare il prete del luogo. Quest’ultimo non tarda poi molto a recarsi sul posto per comprovare coi propri occhi il miracolo. Ordina allora di riunire i fedeli affinché tutti abbiano la possibilità di contemplare la sacra rappresentazione, in preghiera. Nel frattempo, già all’arrivo dei primi parrocchiani, un profumo dolcissimo - “migliore di quello dei gigli, delle viole o dell’acqua di rose” - inizia a diffondersi tutt’intorno, quasi a voler accompagnare lo straordinario evento (vv52-56):
“Logo foron alá todos e viron en com’ estava
na colmẽa a mui santa Virgen e com’ abraçava
a seu Fillo Jhesu-Cristo, e mui mellor odor dava
que liros nen violetas non dan, nen agua rosada.
Tan muit’ é con Jesu-Cristo Santa Maria juntada …”
L’arnia è infine portata in processione per le strade della cittadina fino alla chiesa, tra la gente festosa e piena di devozione. Qui viene adagiata sopra l’altare maggiore per poter essere vegliata fino a tarda notte dai fedeli che erano rimasti a pregare. Ed è proprio durante la veglia che si verifica l’ultimo prodigio: i sacri azzimi ritornano pian piano ad assumere il loro aspetto originario.
Motivi e precedenti
Alcuni frammenti di questa situazione miracolistica si possono rintracciare sia nel repertorio curato da Stith Thompson che in quello di Frederich Tubach, rispettivamente nei motivi B259.4 (“Bees build church of wax to contain consecrated host”) e 2662 (“Host in bee hive. A woman hides the Host in a hollow tree. She forgets it for a year and then finds bees have built a shrine of honeycombs around it”)7.
È da notare però che le situazioni registrate si rifanno solamente a due delle possibili varianti di questa tipologia di miracolo eucaristico: non sempre, infatti, le api si impegnano a costruire una struttura a protezione dell’ostia, limitandosi a volte a mantenere unicamente incorrotta la sacra forma in vista di una sua eventuale trasfigurazione. Quest’ultimo è proprio il caso che offre la CSM 128, la quale - in virtù di questa soluzione narrativa - sembra rifarsi precisamente a tre dei precedenti miracolistici tra quelli censiti in occasione di questo studio. Le versioni interessate vengono evidenziate in grigio nella tabella seguente8:
La prima versione che deve essere confrontata col testo della CSM 128 è quella trasmessa dall’opera De Miraculis di Pietro il Venerabile, risalente al termine del sec. XII. In apertura del primo capitolo, Pietro racconta che un rusticus originario dell’Alvernia possedeva alcuni alveari. Temendo che la produzione delle sue arnie potesse andare incontro a dei problemi, un giorno decise di premunirsi contro tali avversità servendosi della magia. Gli venne consigliato infatti di recarsi in chiesa, prendere la comunione e conservare intatti i sacri azzimi in bocca per poi, una volta ritornato a casa, scegliere una delle sue arnie per soffiarvi all’interno con questi ancora tra la lingua e il palato9:
“Erat in Arvernico territorio rusticus quidam habens alvearia, in quibus examina apum melleam favorum dulcedinem conficere solent. Quas jam dictus rusticus aut evolare, aut emori, aut aliquo casu sibi deperire pertimescens usus pravo sortilegorum consilio, qui diabolica operatione, etiam de beneficiis Dei maleficia facere consueverunt, et (quod est dictu intolerabile) ipsis quoque divinis sacramentis per artes magicas abutuntur, accessit ad ecclesiam, et sumpto a sacerdote (ut mos est Christianorum) corpore Dominico, illudque ore retinens, nec glutire volens, ut jam doctus fuerat, ad unum de jam dictis alvearibus, in quo apes continebantur, accessit, atque foramini, quod in eo erat ore adaptato, sufflare coepit”.
Questo avrebbe inoltre garantito - come riferito allo stesso rusticus - non solo la protezione ai suoi operosi insetti, ma anche una maggiore produzione di miele e di cera. Mise dunque in atto il rituale soffiando quanto più poteva, ma proprio a causa della forza esercitata nell’atto, oltre all’aria espulse dalla bocca anche la stessa ostia, che cadde così a terra. A quel punto, in sua presenza, accadde un primo fatto straordinario: le api, come esseri dotati improvvisamente di razionalità e di pia devozione, accorsero in soccorso dei sacri azzimi e li trasportarono all’interno dell’alveare:
“Nam dictum sibi fuerat quod si corpore Domini ore retento apibus in vase constitutis insufflaret, nulla deinceps moreretur, nulla recederet, nulla deperiret; sed omnibus integre conservatis, de augmento fructus multo amplius quam ante gauderet […] Cumque avidus lucri anhelitum protrahens vehementer sufflaret, ipso linguae et aeris impulsu jactum Dominicum corpus juxta vas illud ad terram corruit. Cum ecce omnis illa apum multitudo de intimis egressa, ad corpus Domini sui reverenter accurrit, atque in morem rationabilium creaturarum de terra sublevatum, habitaculis suis cum multa veneratione, homine illo conspiciente, induxit”.
In un primo momento, volendo forse non credere a quello che aveva visto, l’uomo decise di allontanarsi per occuparsi di altre faccende. In seguito, iniziò però a temere di aver fatto male lasciando che l’ostia rimanesse all’interno dell’arnia. Quindi tornò sui propri passi e, pur di recuperare il Corpo di Cristo, si mostrò disposto ad eliminare quelle stesse api che aveva cercato poco prima di proteggere con un incantesimo. E così fece, gettandovi sopra dell’acqua. Una volta morte, le api rivelarono nella parte più recondita dell’alveare l’ostia che era uscita dalla sua bocca, intatta, quasi come l’avessero voluta proteggere; ma, con grande sorpresa, si poté anche constatare come il pane azzimo avesse assunto le sembianze di Gesù bambino - ancora in fasce - circondato dal miele10:
“Quibus exstinctis, dum intima favorum, quos sibi recondere et conservare volebat, rimaretur, ecce, (mirabile dictu!) conspicit corpus Dominicum, quod ex ejus ore lapsum fuerat, in formam speciosissimi pueri, veluti cum recens nascitur, immutatum, inter favos et mella jacere”.
Questo récit - caratterizzato appunto dal miracolo della trasformazione dell’ostia in una sacra rappresentazione all’interno di un alveare - sembrerebbe poi essere confluito in due collezioni miracolistiche elaborate tra la fine del XII e gli inizi del XIII sec., suggerendo così una circolazione del prodigio anche in un periodo più prossimo all’attività poetica di Alfonso X.
Lo si ritrova infatti dapprima all’interno di una collezione di exempla moralia - che si estende tra i fols. 7v-156v e poi, in modo disordinato, fino al fol. 161rv - trasmessa dal miscellaneo Paris, Bibliothèque Nationale de France, Ms. Par. lat. 14958, proveniente dallo scriptorium di San Vittore11. Il miraculum, rubricato “De rustico qui posuit corpus domini cum apibus ut augmentaretur”, non è altro che un rifacimento del prodigio raccontato da Pietro il Venerabile, dal quale si riprendono anche interi sintagmi opportunamente adattati ad uno stile fortemente ipotattico12:
[fol. 161v] “Legitur esse in avernie territorio quemdam rusticum . examen apum habundantem an alveariis . quas ipse pertimens perdere . aut mori . sive alis aliquo casu deperire . usus tamen pravo consilio scilicet sortilegum dyabolica operatione . qui de beneficiis dei maleficia facere consueverunt . qui etiam divinis sacramentis abutuntur . supradictus rusticus ad ecclesiam communicaturus accessit . et sumpto a sacerdote corpore dominico ut christianis mos est . illud in ore suo retinens . glutire noluit . set clauso ore illud ad unum de alveariis suis portavit . atque foramini quod in eo erat ore adaptato . ut edoctus fuerat . sufflare cepit . tamquam illa sufflatione (…)13 deinceps esse moritura . nulla recessura . nulla peritura . nulla steriler futura sed omnis ibi semper remanerent . et fructum habundantissime facerent . Cum igitur flatum ad interiora toto conatu emitteret . avidus enim luc<ri>14 hanelitum protrahebat vehementis insufflans . ipso lingue impulsu iactatum meante . corpus dominicum . iuxta illud vas ad terram corruit . et ecce omnes apes ille reverenter accurrunt . et tamquam creature rationales . corpus domini de terra sublevatum habitaculis suis . rustico inspectante introducuunt. quod negligens ac parvipendens . ad sua negotia se convertit . Sed cum iter ag<eret> repentino et intolerabili timore turbatus . se nequiter egisse (…) compunctus retro pedem tulit . atque in vindictam sceleris sui . apes quarum vitam opere nefario conservare voluerat . superiecta multa aque violentia enecavit . quibus extinctis . dum favorum intima rimaretur et . corpus dominicum in forma spetiossissima infantis recenter nati conspicit . sed mortui . inter favos et mella iacere . Hesitans autem quod inde faceret . tandem cogitavit eum in manibus accipere et ad ecclesiam referre . et ibi nemine sciente tamquam infantem mortuum tumulare . Quod dum ita deferret . subito ab indignis manibus ferentibus . invisibiliter elapsus disparuit“.
Una seconda attestazione del prodigio, in una veste già ‘marianizzata’ - dove cioè è espressamente la Vergine Maria ad intercedere affinché possa realizzarsi il miracolo della trasfigurazione dell’ostia -15, la si trova all’interno di una collezione anonima di miracula virginis trasmessa ai nostri giorni da due mss., il più antico dei quali è databile tra la fine del XII e gli inizi del XIII sec.16. Si tratta di una raccolta che solamente a partire dalla metà del secolo scorso è stata rimessa sotto i riflettori dalla critica e ricondotta - per alcuni prodigi - anche ad altri récits presenti nella collezione mariana del Re Sapiente. Nel manoscritto più antico che la trasmette (Barcelona, Archivo General de la Corona de Aragón, Ms. Rivipullensis 193, fols. 27v-48r)17, proveniente dal monastero catalano di Ripoll, tra i fols. 44v e 45v si può leggere infatti quanto segue18:
“Tempore Karoli magni imperatoris, in partibus Flandrie, terricola quidam, instigante sibi | quedam [fol. 45r] phitonissa, ut apes vicinorum ad suum venirent apiarium, et mellis copiam magis pre ceteris haberet vicinis, eucaristiam paschalem, quod in ecclesia beate Marie virginis a sacerdote acceperat, in quodam vase apium misit19. Cum vero tempus colligendi mel adveniret, et ipse vas disco cooperiret, pro melle factorem mellis invenit. Quid plura? Res mira, ante et post nec audita. Divam Virginem inter ulnas sacras puerum suum pium Ihesum tenentem in vase, ubi eucharistia immiserat, reperit stantem. Quod videns miser ille valde obstupuit. Tunc exivit tanta claritas et bonus odor a vase, quod totus locus ille mirabiliter refulsit. Idcirco stultus ille amplius ibi stare20 nequivit, sed ecclesie sacerdotem adiit, et rem gestam per ordinem ei narravit. Sacerdos vero21, ut sapiens, rem prius per nuncios probata, pulsatis prolixe tintinabulis, coadunata maxima multitudine parrochianorum suorum, indutus sacerdotalibus vestimentis, cum clericis, et cruce, et turibulis ivit psalmocinando ad locum ubi22 vas erat, rustico duce. Cum autem tanta dei mirabilia intuitus esset, flexis genibus cum magnis singultibus et lacrimis, accepit vas inter brachia sua23, ad ecclesiam tulit. Tunc cecinit diligenter matutinas paschales et horas, primam scilicet et terciam, sicuti egerat die qua tradiderat eucharistiam rustico stulto. Tunc posuit divam Virginem cum puero amicabiliter | super altare, et cecinit cum illa vera hostia sola missam [fol. 45v] paschalem. Cum autem diceret oracionem que est post pacem dominicam, ubi debet hostia frangi, ecce puer oblatus, hostia illa vera, vertitur in hostia panis, illa videlicet hostia, quam rustico dederat die paschali”.
Da come si può osservare, il prodigio coincide a grandi linee con quello trasmesso da Pietro il Venerabile, poi confluito nella collezione di San Vittore: la storia riguarda sempre un terricola che, per ottenere una maggiore produzione di miele e di cera, desiderava che le api dei vicini si trasferissero nel suo alveare.
Tuttavia, il récit va incontro ad una notevole semplificazione e - fatto rilevante - cambiano anche alcuni dettagli di cornice che lo avvicinano così alla versione alfonsina. Non solo, infatti, stavolta lo svolgimento del miracolo avviene al tempo di Carlomagno (Tempore Karoli magni imperatoris), ma si specifica in apertura - proprio come si può leggere nella CSM 128 - che il tutto sia accaduto nella Gallia Belgica (in partibus Flandrie) e non nella regione dell’Alvernia. Su questo punto - a causa di tali elementi di cornice del tutto condivisi tra la tradizione sopracitata e il testo alfonsino - il sospetto che il laboratoro mariano del sovrano sia venuto a contatto con una tradizione centro-europea appare più che fondato.
La versione del Rivipullense e quella della CSM 128 coincidono anche su alcuni dettagli relativi al miracolo della trasformazione dell’ostia, rispetto alla tradizione delineata in precedenza. In entrambe le versioni, infatti, i sacri azzimi vengono ritrovati trasfigurati in una sacra rappresentazione in cui partecipa, per la prima volta, anche la Vergine Maria.
Se la ‘marianizzazione’ appena rilevata avrebbe anche potuto darsi in maniera autonoma nel laboratorio mariano del Re Sapiente a partire da un comune precedente agiografico qualsiasi, quello che segue contribuisce a rafforzare i sospetti sulla conoscenza da parte di Alfonso della ‘tradizione’ rappresentata dalla versione di Ripoll. È da notare infatti come in entrambi i récit si insista su alcuni fenomeni che accompagnano il prodigio, come quello olfattivo, condiviso in esclusiva dal testo alfonsino e da quello di provenienza catalana: un profumo meraviglioso che si diffonde per tutto l’ambiente circostante a partire proprio dall’alveare che contiene la sacra forma mutata d’aspetto24.
L’ipotesi che la chiave di volta capace di risolvere l’enigma di una delle fonti principali (non l’unica, ovviamente) consultate da Alfonso X e dal suo entourage per la composizione della CSM 128 possa essere la versione trasmessa dal manoscritto di provenienza catalana25 - e forse comune a quella seguita dai collaboratori del Re Sapiente a partire da un condiviso antecedente di provenienza francese - potrebbe rafforzarsi nel notare come i debiti alfonsini con questa tradizione siano stati già evidenziati in relazione almeno ad altre due CSM che occupano una posizione relativamente prossima a quella oggetto di questo studio. Tale vicinanza suggerirebbe pertanto un rilievo miracolistico effettuato in primis a partire dalla stessa collezione, disponibile tra le mani dei collaboratori alfonsini in una fase puntuale del lavoro. Si tratta inoltre di miracoli poco o per nulla trasmessi dalla rimanente tradizione miracolistica a noi nota.
Il primo caso riguarda la CSM 138, dove si narra un miracoloso intervento di guarigione da parte della Vergine Maria a beneficio del santo patriarca Giovanni Crisostomo il cui miracolo parrebbe costituire l’esito di un processo di ‘marianizzazione’ di una vicenda narrata per la prima volta nel Dialogus de Vita S. Joannis Chrysostomi scritto da Palladius tra il 408 e il 412 ca. Si tratta infatti di un prodigio già legato alla figura mariana proprio nella collezione di Ripoll e di cui non si hanno notizie sulla sua trasmissione al di fuori di quest’ultima (dove occupa la terza posizione).
Il secondo caso è quello della CSM 141, la quale mette in scena la ben nota storia del monaco inglese ringiovanito da Maria. Anche per questo prodigio si conosce una diffusione assai limitata nel panorama miracolistico europeo e uno dei precedenti del testo alfonsino si può ritrovare esclusivamente nella collezione tràdita per la prima volta dal ms. di Ripoll (dove occupa la settima posizione)26.
La CSM 208
La CSM 208 presenta un caso simile a quello precedente, ma con alcune differenze non trascurabili. Il protagonista stavolta è un eretico di Tolosa che continua a partecipare alla messa per dissimulare agli occhi della comunità dei fedeli in Cristo di cui fa parte la propria miscredenza.
A Pasqua si reca perciò in chiesa, ma dopo aver preso la comunione - nutrendo i soliti dubbi sui sacri azzimi -, decide di conservarli in bocca fino al termine della messa con già, in mente, un disegno ben preciso27. Una volta tornato a casa, li mette dentro un’arnia forse per vedere se le api inizino a costruirvi (obrar) qualcosa attorno, o anche solo per verificarne il comportamento in presenza dell’ostia (vv30-34)28:
“E en hũa ssa colmẽa o deitou e diss’ assi:
“Abellas, comed’ aquesto, ca eu o vinno bevi;
e se vos obrar sabedes, verei que faredes y”.
E des i foi-sse mui ledo o traedor descreudo.
Aquele que ena Virgen carne por seer veudo … “.
Arrivato il giorno della raccolta del miele e della cera, l’eretico apre l’arnia e vi trova all’interno una piccola cappella munita di altare; e sopra a quest’ultimo, una rappresentazione in miniatura della Vergine Maria che stringe fra le sue braccia il piccolo Gesù. La scoperta di questo fatto prodigioso viene inoltre accompagnata da un profumo magnifico, capace di convertirlo all’istante (vv40-44):
“Abriu mui tost’ a colmẽa e hũa capela viu
con seu altar estar dentro, e a omagen cousiu
da Virgen cono seu Fillo sobr’ ele, e ar sentiu
un odor tan saboroso que logo foi convertudo,
Aquele que ena Virgen carne por seer veudo…”
Dopo questo fatto, l’uomo decide di andare dal vescovo per confessarsi. Come nel miracolo precedente, anche qui il religioso organizza in seguito una grande processione per esaminare di persona i sacri azzimi e per riunire i fedeli in preghiera.
Motivi e precedenti
Come già anticipato, una delle differenze principali rispetto al récit della CSM 128 consiste nel fatto che, oltre alla trasfigurazione dell’ostia, si assiste qui anche alla costruzione di una struttura votiva a sua protezione.
La presenza di questo specifico motivo ‘di peso’ (o variante) porta ora a selezionare altre occorrenze tra quelle già presentate nella tabella precedente da mettere a confronto con la CSM 208 (vengono sempre evidenziate in grigio):
Il primo autore noto a dar conto del motivo della costruzione di un santuario di miele e di cera a protezione dell’ostia in circostanze simili a quelle della CSM 208 - in un exemplum pienamente eucaristico - è Giraldo Cambrense nella sua Gemma Ecclesiastica compilata attorno al 1199.
Tuttavia, nell’undicesimo capitolo della Distinctio I, l’autore racconta che l’ostia non era stata inserita all’interno di un’arnia, bensì in una cavità nel tronco di un albero da parte di un uomo che nutriva dei dubbi nei confronti della sacra forma e delle sue capacità (altra variante significativa di questa tipologia di exempla)29. Si intende comunque che la motivazione di questo gesto ubbidiva sempre al desiderio - alimentato da certe credenze - di poter avere a disposizione una notevole produzione di miele e di cera senza particolare sforzo, sfruttando proprio il potere che si credeva insito nell’ostia consacrata (fatto, del resto, che accomuna quasi tutti i prodigi censiti fino a questo punto).
Un prodigio che, oltre ad imperniarsi su questo stesso motivo, mostra anche più affinità nelle modalità di realizzazione dello stesso, ricompare invece nel corso delle prime due decadi del secolo successivo nel Dialogus Miraculorum di Cesario di Heisterbach.
Qui, nell’ottavo miracolo del IX capitolo dell’opera (De apibus quae basilicam corpori Dominico fabricaverunt), si racconta infatti che una donna si era trovata in difficoltà per aver constatato che le sue api non fossero produttive a sufficienza. Temendo per il loro stato di salute e alla ricerca di qualche rimedio, le venne detto - come sempre - di collocare in mezzo a loro un’ostia consacrata. Si recò dunque in chiesa, prese la comunione, nascose i sacri azzimi in bocca, e, una volta ritornata a casa, li collocò all’interno di uno dei suoi alveari.
In seguito, anche stavolta, il prodigio non si fece attendere: le api cominciarono subito a costruire attorno all’ostia una piccola cappella per poi adagiarla sopra un altare minuto. Il miracolo venne infine comunicato dalla donna al sacerdote dal quale aveva ricevuto la comunione, mostrandosi pentita per quanto aveva fatto30:
“Vermiculi Creatorem agnoscentes, de favis suis dulcissimis hospiti dulcissimo capellulam mirae structurae fecerunt, in qua altare eiusdem materiae erigentes, sacratissimum corpus super illud posuerunt […] Processu temporis cum femina idem vasculum aperuisset, et iam dictum oratorium considerasset, expavit, currensque ad sacerdotem, confessa est ei omnia et quae egit et quae vidit”.
Il prete, raccolti alcuni parrocchiani, si recò quindi dove si trovava l’ostia e così potè notare le api che le volavano attorno rivolgendo lodi al Creatore. Una volta diradati gli insetti, tutti poterono infine ammirare quello che era stato costruito attorno ai sacri azzimi e di cui Cesario offre una descrizione particolareggiata: una cappella con finestre alle pareti, campanile, tetto, porta ed altare31:
“Tunc ille assumptis secum parochianis suis ad vasculum venerunt, apes circumvolantes et in laudem Creatoris bombizantes abegerunt, capellulae parietes, fenestras, tectum, campanile, ostium, et altare admirantes, corpus Domini cum laude et gloria ad ecclesiam retulerunt.”
Se nei Sermones Vulgares di Giacomo da Vitriaco e nell’anonimo Liber Exemplorum di ambiente francescano (entrambi coevi al periodo di compilazione del Dialogus di Cesario) era stato ripreso il récit in una veste più affine a quella trasmessa da Giraldo Cambrense - dunque con la variante dell’ostia che, invece di essere inserita all’interno di un’arnia, era stata nascosta in una cavità arborea -32, quello che racconta Stefano di Borbone attorno alla metà del XIII sec. riprende invece quanto narrato da Cesario.
Di nuovo, infatti, viene presentata la vicenda di un rusticus che desiderava moltiplicare le sue api e, in tal modo, ottenere più miele e cera. E, anche qui, si ripete lo stesso miracolo, con le api che avevano cominciato a costruire attorno al Corpo di Cristo una piccola chiesa, completa di fondamenta, colonne ed altare (anche in questo caso, la descrizione della struttura si rivela particolarmente dettagliata)33:
“Tunc omnes apes ad alveoloum ubi erat corpus Christi convenerunt, et, pro irreverencia sibi facta compacientes quasi, opere suo inceperunt construere ecclesiam parvulam, fundamenta et bases et columpnas erigere, et altare consimili opere, et corpus dominicum cum maxima reverencia super illud altare collocaverunt, et ecclesiolam illam miro opere et pulcherrimo perfecerunt infra alveolum illum”.
Poco tempo dopo, come di consueto, il miracolo venne comprovato dall’autorità ecclesiastica del luogo, dopo che il rusticus non era più riuscito ad avvicinarsi alle arnie a causa di un attacco subito dalle stesse api; e così anche gli occhi del sacerdote poterono verificare la presenza di una parvulam ecclesiam e di un altare sul quale era stato collocato il Corpo di Cristo.
Una ipotesi
Come già ipotizzato da Jaime Ferreiro Alemparte, l’ipotesi più plausibile è che, per il confezionamento di questo prodigio, Alfonso X e i suoi collaboratori avessero in mente soprattutto la versione di Cesario di Heisterbach, e questo forse per ragioni di prossimità culturale e politica; motivazioni che, del resto, lo studioso aveva già avuto modo di esporre nei suoi lavori34.
Questa ipotesi sembrerebbe legittima anche da un punto di vista cronologico - escludendo Stefano di Borbone, autore troppo contemporaneo al periodo di attività poetica del Re Sapiente - e tenendo conto dell’assenza del motivo in altre collezioni immediatamente precedenti: il solo autore infatti che avrebbe potuto fornire al sovrano castigliano-leonese il motivo (o il suggerimento) della costruzione di una struttura votiva a protezione dell’ostia potrebbe essere stato solamente Cesario, già frequentato del resto per altri testi.
In questo caso, però, a differenza di quanto si poteva concludere per la CSM 128, la questione si mostra meno lineare. Non si deve infatti dimenticare che - anche ipotizzando come fonte principale il récit di Cesario per la tematica più importante della narrazione - persistono delle differenze sostanziali tra questo e la CSM 208; ma si può anche verificare come queste divergenze, in realtà, non siano poi così discriminanti, in quanto potrebbero anche essersi generate per via di un nuovo contesto sociale e dottrinale in cui si trovava immerso lo scriptorium alfonsino.
In questo senso, dunque, il risultato finale potrebbe anche essere la conseguenza di un aggiornamento dell’exemplum tradizionale in base a certi parametri, e non necessariamente il risultato della consultazione di qualche fonte a noi ignota35.
Si consideri, ad esempio, il primo elemento di difformità tra la CSM 208 e il racconto del Dialogus: la tipologia del protagonista. Se, infatti, nel récit di Cesario si è in presenza di una donna che sembra allevare delle api per mestiere e che agisce nell’ottica di avere un maggiore tornaconto economico, nella CSM troviamo un eretico che, più che essere mosso dal desiderio di incrementare la produzione di miele e cera delle sue arnie, finisce col profanare l’ostia per ‘metterla alla prova’ e quindi per verificare che, con la sua presenza all’interno dell’arnia, anche una parte del mondo animale potesse piegarsi alla volontà divina, come guidata da una intelligenza superiore.
In una versione apparsa molto più tardi di questo prodigio, ovvero agli inizi del XIV sec., in una collezione anonima di miracoli oggi trasmessa dal London, British Library, Ms. Additional 27, 336 e riconducibile con buona probabilità ad un ambiente francescano dell’Italia settentrionale, il protagonista di questa storia è ancora un eretico che, dopo essere stato beneficiato da un miracolo simile, alla fine si pente e si converte36, proprio come accade nella CSM 208.
Si potrebbe trattare di una testimonianza seriore di un récit magari precedente all’attività poetica del saggio re castigliano-leonese? Non necessariamente: è più probabile che, su questo punto, anche Alfonso X avesse voluto riadattare questo prodigio rispondendo così alle necessità manifestate dalla Chiesa soprattutto negli anni successivi al IV Concilio Lateranense che aveva fissato come uno dei punti cardine del programma la lotta alle eresie; e che abbia voluto fare di questo nuovo exemplum mariano una sorta di manifesto per ribadire non solo la necessità di mettere alla berlina gli eretici, ma anche di ricordare la sacralità del Corpo di Cristo, posta in dubbio a quel tempo da parte di molti, ma soprattutto dalla corrente catara37.
La seconda differenza è che nella CSM 208 accade qualcosa di significativo che non trova riscontro in nessun’altra versione anteriore: l’ostia che viene posata sul piccolo altare costruito dalle api subisce anche una trasfigurazione in una rappresentazione mariana. Nella tradizione rimanente, al contrario, non vi è nessuna trasformazione apparente quando compare il motivo della costruzione della cappella cerea38.
Di fronte a questo unicum nella tradizione, è economico ipotizzare che su questo punto Alfonso abbia voluto operare una fusione tra due motivi, guidato dalla necessità di fornire, soprattutto in un miracolo tradizionalmente cristologico come quello delle ostie soggette a trasfigurazione, un segnale della presenza mariana negli stessi azzimi, ribadendo così il ruolo di Maria come figura capace di intercedere anche per questa tipologia di miracoli.
A modo di conclusione
Le analisi condotte sulle due CSM che tramandano dei prodigi eucaristici in cui delle api adorano ed agiscono su un ostia consacrata hanno permesso non solo di far intravvedere la complessa rete di relazioni precedenti ai testi alfonsini in merito a questa tipologia di miracolo (spesso caratterizzato da varianti minime, quasi impercettibili), ma anche come le CSM 128 e 208 - apparentemente simili - si rifacciano in realtà a dei modelli diversi, tendenti comunque ad un medesimo orizzonte culturale e miracolistico.
Per quanto riguarda la CSM 128, il confronto coi precedenti più affini di una lunga tradizione, ha evidenziato come il testo alfonsino - oltre ad adattarsi alla brevitas e ad una forma più semplificata del récit rispetto a quello apparso per la prima volta nel De Miraculis di Pietro il Venerabile - recuperi alcuni dettagli presenti esclusivamente in una collezione attualmente trasmessa da due manoscritti, di cui quello più antico ci è pervenuto da una copia fatta vergare nel monastero di Ripoll e che, con buona probabilità, ha alle spalle un precedente allestito in territorio francese.
L’eredità del modello di Cesario di Heisterbach - certamente rilevante per la produzione alfonsina nel suo complesso - è risultata in questo caso poco o per nulla determinante - diversamente da quanto sostenuto da Jaime Ferreiro Alemparte -, mostrando invece un suo peso culturale forse solo per il prodigio versificato dalla CSM 208, il cui récit è sensibilmente diverso rispetto alla CSM 128.
In quest’ultimo caso, però, il lavoro di versificazione e dunque di composizione del testo diretto dal Re Saggio si mostra meno conservativo, con l’introduzione di alcune innovazioni volte non solo a rispondere alle necessità dottrinali del suo tempo, ma anche a venire incontro ai gusti dell’epoca. Ne sarebbero prova, come già precisato, il cambiamento di protagonista (non solo di genere) e una vera e propria fusione di due motivi miracolistici per dare più centralità alla figura di Maria, vera ed unica protagonista del suo canzoniere.