I monasteri attestati a Benevento in epoca medievale, hanno attirato l’attenzione di pochi studiosi che si sono occupati della storia di una delle città più importanti dell’Italia meridionale. Da un’analisi d’insieme, difatti, emerge una sostanziale lacuna di pubblicazioni dovuta principalmente al mancato interesse storiografico nei confronti dei fondi archivistici custoditi presso i principali archivi della città di Benevento (Archivio del Museo del Sannio-Biblioteca Capitolare- Archivio di Stato). Questi, in pochi casi, sono stati analizzati in maniera episodica e, soprattutto, ai fini della ricerca diplomatica o paleografica1. Le uniche ricerche che lasciano scorgere i possibili moventi che portarono alla fondazione dei differenti edifici monastici delle sole comunità maschili e femminili benedettine sono quelle pubblicate dal Lepore nel Monasticon Beneventanum redatto alla fine del XX secolo. Dopo una breve introduzione nella quale lo studioso beneventano spiega che la fondazione o scomparsa dei monasteri benedettini cittadini, potrebbe essere stata condizionata dai differenti eventi storici che interessarono la stessa Benevento tra i secoli VII- XIII, l’autore riporta, sotto forma di schede, la storia parziale di tutte le comunità identificate2.
Nel contempo, non mancano studi isolati che esaminano concisamente aspetti della vita economica e sociale di alcuni gruppi monastici benedettini3. Agli storici Loud e Zazzo, ad esempio, si deve l’illustrazione delle relazioni che gli abati della comunità sofiana riuscirono ad avviare con i ceti dominanti tra i secoli XII e XIV4.
Anche sulle comunità mendicanti attestate a Benevento nel XIII secolo, si hanno a disposizione un numero esiguo di saggi nei quali sono analizzate solo alcune comunità e con l’ausilio di un numero limitato di documenti. Inoltre, ad oggi, l’unico testo nel quale si tratteggiano le prime ipotesi su come avvenne l’affermazione dei francescani a Benevento è sempre dello storico Lepore dal titolo Presenze Francescane nel Sannio5. Analizzata la bibliografia prodotta sulla presenza monastica a Benevento, si è notato che mancava proprio uno studio che desse una visione globale sul paesaggio monastico. Con la tesi di dottorato, dal titolo L’evoluzione del paesaggio monastico della città di Benevento tra storia e metodi informatici. Dai Benedettini ai mendicanti (sec. VII-XIII)6, si è cercato di colmare in parte questa lacuna e si è voluto rileggere, o meglio interpretare, l’ampia documentazione archeologica ed archivistica superstite in modo da contribuire alla conoscenza della storia di questa città che si interseca con le vicende legate allo sviluppo del monachesimo benedettino e mendicante. È stata superata la tradizione storiografica di analizzare le comunità monastiche come fenomeni a sé stanti, approfondendo i moventi che portarono alla loro fondazione e quali furono i promotori, osservando come le stesse si relazionavano con la popolazione e altri complessi religiosi presenti sul territorio e su come limitavano spazi di controllo che influivano sulle vie di comunicazione.
Per raggiungere gli obiettivi prefissati, come primo approccio, è stato fondamentale analizzare la morfologia e lo sviluppo dell’abitato di Benevento, da quando divenne colonia romana (a. 290 a. C.) all’arrivo dei longobardi (a. 571)7. Benevento sorge al centro della confluenza di due fiumi, il Sabato e il Calore, sul colle denominato della Guardia. Ubicata in una posizione strategica per il controllo dei territori e punto cardine per la comunicazione e commercio tra il versante adriatico e quello tirrenico, alla città portavano due grandi vie, la Via Appia e la Latina e da essa partiva la via Traiana che consentiva il raggiungimento dei territori delle Puglia, principalmente il porto di Brindisi. Come ogni città romana l’impianto urbanistico era caratterizzato dall’incontro ortogonale delle strade, cardi e decumani8. Questo impianto, presente anche in altre colonie latine ubicate su colline dalla forma allungata - Alba Fucens, Venosa - nacque per far sì che il centro abitato, durante il suo sviluppo, si andasse adattando alla forma del pendio collinare9.
I longobardi, in seguito al loro arrivo, nonostante abbiano apportato grandi modifiche alla Benevento romana non intaccarono fortemente l’assetto urbano, infatti, i principali assi viari, cardi e decumani, continuarono a essere utilizzati. Come si può notare dall’immagine riportata di seguito e realizzata in GIS, la Via Appia, attraversava Benevento sotto forma di decumano maximus, entrando da Porta San Lorenzo ed uscendo dalla città da Porta di Somma, ubicata nella parte nord della città.
Sempre con l’utilizzo del GIS, sulla base di mappe topografiche già edite, sono state create una serie di cartografie digitali sulle quali poi si è sviluppata la nostra analisi. Nella prima è possibile osservare il circuito murario che andò a delimitare la città nelle prime fasi di occupazione longobarda, fino all’anno 774.
In quest’anno si registra un ampliamento del circuito murario per volere del principe Arechi II, per la fondazione della Civitas Nova. Il perimetro murario fu ampliato verso occidente integrando l’altra parte della città romana e furono riutilizzati i tratti dei decumani e dei cardini che lo attraversavano. L’intervento di ampliamento si pensa sia dovuto sia alle necessità di edilizia urbana, sia ad una risposta difensiva rispetto ad un eventuale attacco da parte dei franchi10.
Una volta comprese le modifiche urbanistiche, lo studio è stato orientato sulle vicende storiche che interessarono la città, dall’arrivo dei longobardi fino al 1266, anno in cui terminò la dominazione sveva. Benevento, grazie alla sua posizione cruciale, nel 571 fu scelta dai longobardi come sede del loro ducato e trasformata in principato da Arechi II intorno all’anno 774. Dopo la Divisio ducatus, avvenuta nell’anno 849, e l’occupazione per un brevissimo periodo dai bizantini, dall’891 all’895, tornò nuovamente sotto il governo dei principi longobardi fino al 1051, quando divenne enclave pontificia, un unicum nel regno di Napoli. Benevento fu sempre contesa ai papi dai sovrani che dominarono il Mezzogiorno. Durante il regno di Federico II, infatti, fu al centro delle lotte tra papato e impero, e solo dopo la morte dello svevo, ritornò ad essere di proprietà della Chiesa. Una situazione analoga si replicò con l’ultimo sovrano svevo, Manfredi. La città, infatti, tornò per un anno a far parte del Regno di Sicilia, dal 1265 al 1266, fino a quando, Carlo II D’Angiò, sconfisse Manfredi nella battaglia conosciuta come “Battaglia di Benevento”. La vittoria da parte degli angioini determinò il ripristino dell’autorità pontificia sulla città11.
Lo studio ha posto poi in primo luogo il potere pubblico dei duchi, poi quello dei principi che interagirono con le comunità monastiche della città di Benevento, ed infine quello degli imperatori, in particolar modo Federico II. La lettura della storiografia e dei numerosi documenti d’archivio, ha dato la possibilità di osservare le strategie messe in atto dai governatori per proporre la rappresentazione del loro potere all’interno della città, tra queste vi era la fondazione e l’appoggio a istituzioni religiose.
Venticinque erano le comunità monastiche benedettine che, tra i secoli VII-XIII, andarono a occupare uno spazio di primaria importanza nel paesaggio monastico di Benevento. Si trattava di dieci comunità femminili e quindici maschili12.
Purtroppo, non siamo a conoscenza della data di costruzione di tutti i monasteri a causa della dispersione degli atti di fondazione. Per la ricostruzione cronologica del paesaggio monastico, quindi, si è fatto riferimento al solo secolo della loro prima attestazione.
Le comunità monastiche benedettine identificate, sono state catalogate e, per ognuna, è stata compilata una scheda nella quale è riportata parte della sua storia.
L’analisi è stata svolta anche con l’ausilio di carte tematiche da me elaborate nelle quali sono stati ubicati i monasteri in base alla loro attestazione temporale. Questo ha permesso di tracciare un excursus cronologico delle fondazioni monastiche. Le carte tematiche, oltre a dare una visione d’insieme sulle differenti fasi storiche che caratterizzarono Benevento, hanno permesso di interrogarsi sul perché alcuni edifici furono fatti costruire in determinati spazzi della città e non in altri. L’interazione tra le informazioni di tipo storico e la cartografia, ha permesso di confermare che la nascita del paesaggio monastico benedettino ebbe luogo in seguito sia all’affermazione del potere dei duchi a Benevento, tra fine VII e VIII secolo, sia da un loro cambio di atteggiamento nei confronti della Chiesa. Le fonti cronachistiche, in particolar modo la Historia Langobardorum di Paolo Diacono, riportano che fu Teodorata, moglie del duca Romualdo I di Benevento, ad essere il primo tramite tra il ducato e le istituzioni religiose. La duchessa, oltre a convincere l’élite longobarda ad abbandonare l’arianesimo per intercessione del vescovo di Benevento Barbato, nel 675, finanziò l’edificazione della prima struttura monastica femminile benedettina, intitolata a San Pietro e ubicata fuori le mura della città13. I duchi, nei periodi successivi, oltre a sovvenzionare proprie fondazioni religiose, furono i principali benefattori di altre strutture monastiche attestate a Benevento. Durante il governo Romualdo II (706-732) e Gisulfo II (742-751), si affermano due monasteri annessi a delle chiese preesistenti: il monastero di San Benedetto ad xenodochium e quello di Santa Sofia ad Ponticellum. Quest’ultimo, si ricorda, fu fondato dall’abate Zaccaria in seguito alla concessione di un locus per volere del duca Romualdo II nell’anno 721. Nella fase successiva alla sua fondazione, oltre ad essere posto alle dipendenze del solo Palazzo ducale di Benevento, fu arricchito di poderi sia dallo stesso duca sia da suo figlio Gisulfo II14. Per quanto riguarda il monastero di San Benedetto ad xenodochium, purtroppo, non si conosce la data di fondazione. É molto probabile, come dimostrerebbe il praeceptum concessionis del duca Gisulfo II del 742, che il monastero era già esistente in città, nell’area denominata ad Caballum, nella prima metà del secolo VIII. Il complesso di San Benedetto riuscì a mantenere una propria autonomia rispetto sia al Palazzo ducale sia dalla sede vescovile fino all’inizio della dominazione di Benevento da parte del duca e poi principe Arechi II. A quest’ultimo, sempre nel corso del secolo VIII, si deve la fondazione dell’importantissimo monastero di Santa Sofia, ubicato nei pressi del Sacrum Palatium. Nei periodi in cui la comunità femminile di Santa Sofia fu assoggettata all’abbazia di Montecassino per ordine dello stesso principe Arechi II, l’edificio di San Benedetto fu posto alle dipendenze del monastero sofiano e scelto come luogo per accogliere i prepositi cassinesi. Quest’ultimi lo abitarono fino alla prima metà del X secolo, quando compare nella documentazione il primo abate della comunità maschile di Santa Sofia, un certo Orso15. Un altro ente monastico, la cui presenza è attestata in città dalla seconda metà dell’VIII secolo al XIII secolo, è quello di San Giovanni a Port’Aurea. Dalla lettura dei documenti è risultato difficile provare che la sua fondazione sia stata sostenuta dai principi longobardi. All’VIII secolo, difatti, risalirebbe un solo documento che attesta la sua ubicazione in città, e nel quale si descrive la disputa in atto con l’abate di Santa Sofia per alcuni beni che la stessa comunità di San Giovanni possedeva illegalmente in Puglia16. Altre informazioni le ricaviamo dai documenti datati al X secolo, quando fu posto alle dipendenze della sede vescovile per volere dell’imperatore sassone, Ottone I, il quale tentava mediante l’alleanza con il vescovado di ripristinare la sua autorità, a discapito di quella dell’imperatore bizantino, elevando a rango arcivescovile alcune chiese. Questa subordinazione, confermata negli anni anche dai pontefici, nello specifico da papa Leone IX nel 105317 e papa Stefano IX nel 105818, sembra che si concluse nella prima metà del XII secolo. Dal 1180 i rettori di S. Giovanni sono nominati come “rettori cardinali” e dignitari della curia romana, unico caso identificato a Benevento19.
Ritornando alla storia della Benevento altomedievale, è stato comprovato, che gli scompigli politici che interessarono la città e l’intera Italia meridionale, nel IX secolo, ovvero la contemporanea presenza dei saraceni e bizantini, e ancor di più la scissione del principato di Benevento in due unità di potere con Salerno, incisero profondamente sul paesaggio monastico benedettino. A questo secolo andrebbe aggiunta alla “colonizzazione” monastica una sola struttura, quella di San Modesto. Dal memoriale di Reichenau, si apprende che l’edificio fu anche saccheggiato e incendiato durante l’invasione di Benevento organizzata dall’emiro di Bari, Sawdān tra gli anni 857 e 86220. I documenti dei secoli X-XII e anche le fonti cronachistiche hanno permesso di considerare che la comunità, nonostante i danni subiti, fu in grado di risollevarsi e diventare uno dei centri monastici benedettini più ricchi e importanti della città. Gli abati, difatti, ebbero un ruolo di prim’ordine nelle dinamiche politiche e religiose della città. Ad esempio, Falcone di Benevento nel Chronicon, durante la descrizione degli scontri del 1114, nei quali furono protagonisti il connestabile Landolfo della Greca e il principe Roberto con i conti Roberto e Giordano, racconta che l’abate di San Modesto, Rachisio, fu inviato dal pontefice per supplicare un suo intervento e salvare Benevento dalla presa dei normanni21. Difatti, per avvalorare gli sviluppi positivi delle relazioni tra la classe dirigente locale e quella normanna, nel 1121, lo stesso abate fu chiamato per confermare l’elezione della badessa del monastero di Santa Maria di Porta di Somma, Betlemme, figlia del conte Gerardo di Greci, imparentato con gli Altavilla, una delle più potenti famiglie normanne22.
Un nuovo incremento delle fondazioni monastiche si osserva, invece, a partire dal X secolo. Sia all’interno che all’esterno delle mura, si attestano nuovi monasteri: San Pietro de Duddi, San Salvatore a Porta Rufina, Santa Croce e San Vittorino. Nello stesso secolo compare anche quello intitolato ai SS. Lupo e Zosimo, al quale i principi di Capua e Benevento, Pandolfo I Capodiferro e Landolfo IV, conferirono anche lo ius castellandi, ovvero la possibilità di incastellare le terre di proprietà del monastero, ubicate a Ponte, località limitrofa al territorio beneventano23.
L’apice delle fondazioni, invece, si verificò intorno all’XI secolo quando, Benevento, si trovava al centro delle lotte tra papato e normanni. Purtroppo, è stato impossibile appurare la costruzione di edifici monastici da parte di quest’ultimi. È certo, tuttavia, come aveva già osservato lo storico Houben, che essi appoggiarono le istituzioni monastiche giacché le consideravano elementi utili a consolidare il loro potere politico ed economico nelle aree di nuova conquista. Il loro interesse era rivolto a quei cenobi in cui entravano a far parte uomini e religiose normanne per facilitare il controllo dei loro possedimenti24. A Benevento, ruolo di primaria importanza, all’interno dei rapporti tra normanni e istituzioni monastiche, fu svolto dal monastero di Santa Maria di Porta di Somma, dove, nell’anno 1121, era stata eletta badessa Bethlemme, figlia del conte Gerardo di Greci appartenente alla famiglia normanna degli Altavilla. I documenti dimostrano che Bethlemme, oltre ad essere un abile governatrice, riuscì ad ampliare il patrimonio terriero soprattutto grazie ai rapporti dinamici con il mondo feudale, difatti esercitava diritti nei territori extraurbani ed anche giurisdizionali di natura civile. La donna, nei suoi cinquantaquattro anni di direzione della comunità, fu in grado di acquisire sempre più forza e autorevolezza sia dai legami parentali sia dalle relazioni che riuscì a stabilire con alcune potenti famiglie delle feudalità normanna, in particolar modo con quella dei baroni di Flumeri e di Trevico25. Sempre nell’arco dell’XI secolo si attestano altri monasteri la cui fondazione fu sostenuta dai principi. Tra questi si ricorda, in particolar modo, il complesso benedettino dedicato a San Marciano26. Dalla chartula concessionis del 1028, si è appreso che furono i principi Landolfo V e Pandolfo III a donare ai monaci Leone e Giaquinto la chiesa di San Marciano, presso la quale avrebbero poi costruito un edificio conventuale27. Si contano ancora i monasteri di San Benedetto a Pantano, di S. Diodato, di San Nicola a Torre Pagana, di Sant’Angelo ad Ponticellum, soggetto all’abbazia di Santa Sofia, e quello di San Pietro dentro le mura; quest’ultimo popolato anche da donne appartenenti alla nobiltà cittadina e quella dei territori vicini alla stessa Benevento. La ricerca ha permesso di osservare come nel corso del XII secolo, a risentirne del disordine causato dalla lotta tra papato e normanni e la rottura tra la Chiesa e l’impero, furono ancora le comunità monastiche benedettine che si trovarono prive di un tessuto politico e sociale a cui appoggiarsi. A quest’arco cronologico sono ascrivibili altre istituzioni monastiche: San Lorenzo, Sant’Ilario e San Paolo. Alla fine dello stesso secolo, s’intravedono in città anche le prime tracce di quello che è definito dagli storici “monachesimo riformato” con la fondazione del priorato verginiano intitolato ai SS. Filippo e Giacomo, ubicato nell’area della Civitas Nova, e recensito tra le dipendenze dell’abbazia di Montevergine28.
Nel corso del XIII secolo, tra quelli antichi e quelli di nuova fondazione, erano presenti in città solo tredici monasteri benedettini. Si tratta dei complessi di San Pietro fuori le mura, Sant’Angelo a Ponticello, San Vittorino, San Massimo, Santa Maria di Porta di Somma, SS. Lupo e Zosimo, Sant’Ilario, San Modesto, San Diodato, quello intitolato ai SS. Filippo e Giacomo, Santa Sofia, San Pietro dentro le mura e, infine, quello di San Lorenzo.
Nel grafico si può osservare la curva di andamento delle attestazioni dei monasteri benedettini a Benevento nei secoli presi in esame.
L’impossibilità di analizzare il ricco patrimonio archivistico appartenuto a tutte queste comunità monastiche, consultabile principalmente presso l’Archivio del Museo del Sannio di Benevento e la Biblioteca Capitolare della stessa città, ha fatto sì che l’attenzione fosse centrata solo su due comunità benedettine. Si tratta del monastero femminile e poi maschile di Santa Sofia che ebbe un ruolo centrale nella vita religiosa, sociale e politica del principato longobardo di Benevento, iscritto alla lista dei patrimoni dell’umanità dell’UNESCO nel 2011, e del monastero femminile di San Vittorino sito nel centro della città e a poca distanza dalle porte urbiche, Porta Rufina e Porta Somma.
Per quanto riguarda la comunità maschile che andò ad occupare gli spazzi del complesso di Santa Sofia, a partire dal X secolo, lo studio delle fonti oltre a dare la possibilità di comprendere come i monaci furono abili nello sfruttare la loro posizione primaria al fine di ottenere importanti benefici dall’aristocrazia locale e da quella dei territori limitrofi, e al fine di costruire un dominio sempre più solido e ramificato nell’intero Mezzogiorno, ha permesso di individuare e poi visualizzare in quali zone si concentravano tutti i loro possedimenti. Pertanto, si è realizzata una cartografia che è diventata una vera e propria fonte d’informazione. I beni della comunità, costituiti principalmente da case, terre, tratti di corsi d’acqua, mulini, baronie, castellum, chiese e monasteri erano distribuiti in ben quattro regioni: Campania, Molise, Basilicata e Puglia. Ancora, pochi fonti d’archivio, permettono di sostenere che il monastero ebbe un ruolo centrale nel favorire il processo di affermazione della posizione papale a Benevento soprattutto nei periodi in cui erano in atto gli scontri tra la chiesa e i normanni. È stato possibile evidenziare che la comunità sofiana aveva una propria infermeria. Il presidio sanitario, diretto dall’infirmarius, era riservato, come dettato dalla regola, ai soli monaci malati della comunità e dotato di propri possedimenti gestiti dall’abate della comunità sofiana. Si trattava principalmente di terre coltivate, alcune delle quali riservate alla produzione di erbe medicinali utilizzate poi per la cura degli stessi malati.
Per il monastero di San Vittorino, invece, le fonti cronachistiche consentono d’ipotizzare che la sua fondazione fu sostenuta dai principi Atenolfo e Landolfo I, i quali consegnarono alle monache provenienti da Alife la già esistente chiesa intitolata a San Vittorino, presso la quale potettero costruire l’edificio monastico. Lo studio delle pergamene inedite, a loro volta, oltre a fornire prova che le badesse governavano contemporaneamente due comunità monastiche, quella alifana e quella beneventana, ha permesso di ricostruire il ricco patrimonio fondiario costituito principalmente da chiese, terre e casaline. Le badesse, in qualità di amministratrici, alcune volte anche con il consenso e aiuto di altre monache, che probabilmente prima di entrare a far parte della comunità monastica, o durante il loro noviziato, avevano ricevuto una formazione in campo economico, cedevano pezzi di chiese e case in cambio di terreni coltivabili e produttivi. Differenti erano anche le donazioni in favore della comunità eseguite dall’élite dei due territori. Attraverso queste forme di accumulo, le comunità entrò così in possesso di una parte consistente e produttiva del territorio di Benevento e Alife.
Altra evidenza emersa è che il monastero fungeva anche da presidio assistenziale dall’anno 1168. Questa mansione fu conferita alla comunità femminile da papa Alessandro III in seguito all’emanazione della bolla Quotiens Illud nella quale, oltre ad essere precisata la dipendenza del monastero dalla sola Sede Apostolica, fu data la possibilità di accogliere in spazi esterni pellegrini, viandanti e mercanti bisognosi di sostegno. Il conferimento di questa possibilità di accoglienza sicuramente non fu casuale, difatti, il complesso monastico, era posizionato nei pressi di due porte urbiche della città, Porta Somma e Porta Rufina, dalle quali le persone entravano ed uscivano per poi dirigersi verso le loro mete tra cui vi erano il santuario di San Michele Arcangelo e i porti pugliesi da cui si partiva per la Terra Santa.
Di seguito si riportano due carte tematiche sulle quali è possibile osservare la distribuzione dei monasteri femminili e maschili ripartiti sia all’interno della città che fuori le mura. Fondamentale per la realizzazione di queste carte è stata anche la consulta di alcune carte storiche, che nonostante la loro datazione più tarda rispetto all’arco cronologico trattato in questo lavoro, hanno facilitato l’identificazione di alcune aree, interne ed esterne alle mura, sulle quali sorgevano differenti enti monastici. Mi riferisco in questo caso alla Pianta della Pontificia città di Benevento, realizzata da Liborio Pizzella nell’anno 1764, e quella elaborata da Angelo Rocca intorno all’anno 1590, oggi custodita presso la Biblioteca Angelica di Roma29.
Con l’avanzare della ricerca, si è notato che tra il XII e XIII secolo a Benevento, come nella gran parte delle città dell’Italia meridionale, si assiste al fenomeno dell’insediamento da parte di un nuovo genere di religiosi che scelsero l’area centrale attraversata dalla Via Appia utile alla loro missione di predicazione: canonici regolari, francescani e domenicani. Si è osservato che la prima comunità di canonici regolari testimoniata in città fu quella degli agostiniani. La loro prima citazione risale all’anno 1174, quando fu fondata per volere del cardinale Alberto Morra la congregazione nella chiesa intitolata a Sant’Andrea30. A partire dal 1233, si attesta a Benevento il primo insediamento dei predicatori. Il complesso di San Domenico fu fatto erigere dal giudice Roffredo Epifanio in un’area esterna alle mura della città, che purtroppo non è possibile identificarla. È molto probabile che i rapporti che la comunità domenicana ebbe con quella benedettina femminile di San Pietro dentro le mura, portarono la badessa Registra, nel 1268, a concedergli un’area interna alle mura sita nei pressi della Via Appia e dove in precedenza era la chiesa di Santa Maria Antiqua. I domenicani decisero così di trasferire la comunità all’interno della città lasciando il vecchio edificio ad un gruppo di mulieres religiosae che erano poi a far parte dell’Ordine dei frati predicatori. Anche in questo caso la poca documentazione, come più volte accennato, non ha permesso di ricostruire la vita interna alla comunità, che grazie al lavoro di ricerca della Colesanti, è stata ritenuta la prima fondazione femminile domenicana all’interno Regno. Le domenicane sono citate per la prima volta nel 1276, nel privilegio erogato dal vescovo Capodiferro, nel quale si specifica l’indipendenza delle sorores dalla giurisdizione vescovile31. Per quanto riguarda i francescani, erano presenti in città già dall’anno 1240 come dimostrerebbero le bolle pontificie datate una allo stesso anno32 e la seconda del 1247 emanate corrispettivamente da Gregorio IX e Innocenzo IV33. Le prime citazioni di un locus, ovvero un luogo di coabitazione, si hanno solo a partire dall’anno 126634. Il loro arrivo in città, secondo quanto già sostenuto dal Lepore, fu quasi certamente condizionato e favorito dall’affermazione del terz’ordine penitenziario, rappresentato da oblati, reclusi e mulieres religiosae, annessi a delle chiese o complessi monastici, i quali avevano adottato uno stile di vita dedicato prettamente alla preghiera, all’offerta e al servizio della chiesa. Dall’anno 1266, una comunità del secondo ordine francescano è documentata nel preesistente monastero di San Lorenzo sito fuori le mura, in precedenza occupato da una comunità femminile benedettina. Molto probabilmente la comunità benedettina adottò la rigida regola di Santa Chiara e non è da scartare l’ipotesi che in una prima fase siano coesistite due comunità che seguivano due regole; dalla storiografia emerge che si tratta di un fenomeno molto diffuso tra le comunità femminili, così come ha dimostrato Penco, per il monastero di Santa Maria Mater Domini di Conegliano Veneto, nel quale a partire dal 1231, si attesta la compresenza di gruppi di donne che seguivano la regola benedettina e quella clariana35.
Di seguito si riporta una carta topografia sulla quale è possibile osservare l’ubicazione degli edifici mendicanti e benedettini nel corso del XIII secolo in città. Questa, è servita per elaborare delle prime ipotesi sulle modalità d’insediamento dei nuovi ordini nel contesto cittadino.
Giunti alla fine di questa lunga sintesi possiamo affermare che lo spazio urbano di Benevento, a partire dal VII fino ad arrivare al XIII secolo, fu in continua evoluzione grazie al ruolo avuto dai gruppi dominanti che finanziarono non solo la costruzione di enti monastici, ben ventinove edifici, ma li arricchirono di beni e li sostennero nei secoli con una politica di privilegi fiscali al fine di affermare i loro poteri nei territori dell’Italia meridionale.
Bibliografia
Fonti
Fonti manoscritte
Benevento, Archivio del Museo del Sannio (MDS), Fondo San Domanico, vol. VI, perg. n. 11.
Benevento, Archivio del Museo del Sannio (MDS), Fondo Santa Sofia, vol. VIII, perg. n. 8; vol. XXXIV, perg. n. 10.
Benevento, Archivio della Biblioteca Capitolare di Benevento (BC), Benev. 67, n. 21.
Benevento, Archivio della Biblioteca Capitolare di Benevento (BC), cart. 377, perg. nn. 8-9 (anno 1266-1272).
Benevento, Archivio della Biblioteca Capitolare di Benevento (BC), perg. a parte VIII.
Benevento, Archivio della Biblioteca Capitolare di Benevento (BC), perg. a parte IV.
Roma, Biblioteca Angelica, BSNS 56\57.
Fonti edite
BARTOLONI, Franco - “Diplomi arcivescovili beneventani”. Archivio Paleografico italiano XIII/58 (1950).
BARTOLONI, Franco - Le più antiche carte dell’abbazia di San Modesto in Benevento (secoli VIII-XIII). Roma: Istituto Storico Italiano per il Medioevo (Regesta Chartarum Italiae, 33), 1950.
BERTOLINI, Ottorino - “Gli Annales Beneventani”. Bullettino dell’Istituto Storico Italiano per il Medioevo e Archivio Muratoriano 42 (1923), pp. 1-163.
BERTOLINI, Ottorino - “I documenti trascritti nel “liber praeceptorum Beneventani monasteri S. Sophiae” (Chronicon Sanctae Sophiae)”. In A.A. V.V. - Studi di Storia Napoletana in onore di Michelangelo Schipa, Napoli: I.T.E.A, 1926, pp. 11-47.
BERTOLINI, Ottorino - “Studi sui diplomi dei duchi e dei principi longobardi dell’Italia meridionale. Un preteso giudicato del 1061 di Landolfo IV e Pandolfo IV principi di Benevento”. Archivio storico Italiano, s. VII, 9 (1928), pp. 177-216.
Bullarium Franciscanum romanorum pontificum, constitutiones , epistolas, ac diplomata continens. Tomus I. Ed. Fr. Joannis Hyacinthi Sbaraleae. Romae: Typis Sacrae Congregationis de Propaganda Fidei, 1759.
CIARALLI, Antonio; DE DONATO, Vittorio; MATERA, Vincenzo - Le più antiche carte del Capitolo della cattedrale di Benevento (668-1200). Roma: nella sede dell’Istituto Palazzo Borromini, 2002.
CUOZZO, Errico; ESPOSITO, Laura; MARTIN, Jean Marie - Le pergamene del monastero di Santa Sofia di Benevento (762-1067). Rome: École Française de Rome - Centro Europeo di Studi Normanni (Sources et Documents 12; Medievalia 10), 2021.
GALASSO, Elio - “Caratteri paleografici e diplomatici dell’atto privato a Capua e a Benevento prima del secolo XI”. In Il Contributo dell'archidiocesi di Capua alla vita religiosa e culturale del Meridione. Atti del Convegno nazionale di studi storici promosso dalla Società di storia patria di Terra di Lavoro (26-31 ottobre 1966). Roma: De Luca, 1967, pp. 291-317.
LEPORE, Carmelo - “La Biblioteca Capitolare di Benevento: Regesti delle pergamene: sec. 7-13”. Rivista Storica del Sannio, 3 ser., 12/1 (2005), pp. 209-241.
MARTIN, Jean Marie (ed.) - Chronicon Sanctae Sophiae: cod. Vat. Lat. 4939. Studio sull’apparato decorativo di Giulia Orofino. Roma: Istituto Storico Italiano per il Medioevo, 2000.
PAULO DIACONO - Historia Langobardorum. In BETHMANN, Ludovivo; WAITZ, Gregorio (a cura di) - Monumenta Germaniae Historica inde ab anno Christi quingentesimo usque ad annum millesimum et quingentesimum. Scriptores rerum Langobardicarum et Italicarum saec. VI- IX. Hannoverae: impensis bibliopolii Hahniani, 1878.
Registrum Petri Diaconi (Montecassino, Archivio dell’abbazia, Reg. 3). Coord. MARTIN, Jean Marie; CHASTANG, Pierre; CUOZZO, Errico, at al. Roma: École française de Rome (Fonti per la Storia dell’Italia medievale, Antiquitates, 45), 2015.